La misura di ogni pastorale ecclesiale rimane il cuore di Cristo, secondo l’icona evangelica del buon Samaritano; da qui, l’attenzione che la Chiesa è chiamata ad avere nei confronti sia di quanti hanno visto fallire il loro matrimonio e sono separati o divorziati, sia di quanti, dopo essersi separati o aver divorziato, si sono risposati o convivono.
Partendo da questo orizzonte mercoledì 22 giugno mons. Carlo Rocchetta - teologo, direttore del centro familiare "Casa della tenerezza" di Perugia - ha sviluppato il suo intervento, La Chiesa Madre e Maestra per i coniugi in difficoltà. Dalla luce teologica alle scelte pastorali.
Il primo contributo offerto dal relatore è stato quello della chiarezza: “Le situazioni sono oggettivamente diverse tra loro” ha spiegato, distinguendo: “Nel caso di chi è separato o divorziato, ma non ha contratto una nuova unione, non esiste un problema di partecipazione ai sacramenti della riconciliazione e dell’eucaristia”; mentre, invece, nel caso di chi, separato o divorziato, ha dato vita ad una nuova unione, “non c’è la possibilità di accedere ai sacramenti”, anche se questo non significa essere esclusi dalla vita della Chiesa.
Mons. Rocchetta ha invitato a valutare le singole situazioni, evitando di “trasformare tutti i separati in una massa indistinta”, e “unendo sempre amore della verità e verità dell’amore, e mai l’una senza l’altra”.
Ha quindi spiegato, sotto il profilo teologico, le ragioni della posizione della Chiesa sulla problematica della separazione e del divorzio, riconducendole all’identità specifica del sacramento delle nozze ed esortando, nel contempo, a evitare sia “la chiusura totale verso ogni separato”, sia “la superficialità etica, in base alla quale tutto è permesso”.
“Quando due battezzati si sposano – ha aggiunto – non pongono in essere un gesto che appartiene solo a loro”, ma diventano “segno dell’alleanza definitiva, irrevocabile e indistruttibile di Dio verso l’umanità e di Cristo verso la Chiesa”. Per questo, il sacramento del matrimonio “non rappresenta solo un impegno scritto sulla carta, ma un accadimento cristico-ecclesiale dispiegato nel cuore stesso degli sposi”, che “diventano ciò che celebrano”. Il legame del vincolo sacramentale ha perciò “natura permanente”.
Tutto questo non significa che, quando un’unione dovesse spezzarsi, il battezzato si trova fuori della Chiesa: anzi, quest’ultima – ha sottolineato il relatore – ha “l’obbligo morale di farsi vicina a questi fratelli e sorelle, mettendosi in cammino con loro, aiutandoli a ritrovare un senso alla propria vita e aprendoli alla speranza che nasce dalla fede in Dio”.
In particolare, la condizione di separati che si sono risposati civilmente o che comunque si sono ri-accompagnati, è quella che la Chiesa definisce come “irregolare”. Anche a tale riguardo, mons. Rocchetta ha invitato a comprendere il significato di questa parola, che “non intende esprimere un giudizio sulle persone e sulla loro coscienza, ma indicare uno stato di vita, oggettivamente in contrasto con il vincolo permanente del sacramento delle nozze”; condizione che, ancora, “non indica una sorta di esclusione totale dal vissuto della comunità cristiana e richiede, anzi, forme particolari di attenzione e di vicinanza pastorale”.
Rimane decisivo – ha lasciato intendere – superare la contrapposizione “sacramenti sì” o “sacramenti no”, che in fondo rivela “l’idea che tutta la vita cristiana si riduca ai sacramenti”. In realtà, tale contrapposizione “è sterile, perché non porta da nessuna parte e preclude ogni possibilità di compiere passi in avanti, almeno sotto i profilo ecclesiologico-pastorale”; inoltre, “non permette ai separati risposati o riaccompagnati di sentirsi Chiesa, per la loro parte, e viverne i momenti fondamentali”. Tra questi, la riscoperta del dono della Parola di Dio, della preghiera come dialogo con il Signore, della fraternità e della carità.
Anche i fedeli separati risposati o comunque conviventi occupano dunque un posto nella Chiesa: “Sono un segno e una provocazione vivente per la comunità cristiana, nella misura stessa in cui la impegnano ad uscire fuori da ogni sorta di sedentarietà o di immobilismo e a farsi umile compagna di viaggio dell’umanità”. Nel concreto, verso i separati risposati la Chiesa è chiamata a “farli sentire parte del popolo di Dio”, ad “astenersi dal giudicare l’intimo della loro coscienza” e ad “amarli con cui il cuore di Dio”.